Storie d’archivio:
Il mercante di Borgo a Mozzano
  dal 05 al 31 Dicembre 2020
LUCCA
Storie d’archivio:<br>Il mercante di Borgo a Mozzano

Nicolo di Chiaro Del Bene visse nel XIV secolo. Abile nel gestire denaro (lo prestava e lo custodiva), era anche esattore delle tasse e azionista di varie imprese

E’ incredibile la ricchezza di informazioni che si possono trovare tra i documenti ingialliti dei nostri Archivi. Talvolta, con un po’ di pazienza e un pizzico di fortuna è possibile ricostruire l’intera vita di persone vissute secoli fa nei nostri luoghi. Sapere dove abitavano, il loro mestiere, le vicende familiari… Conoscere l’ammontare delle loro ricchezze, le proprietà (se ne avevano) perfino il soprannome con cui le chiamavano i contemporanei e, in ultimo, la data della morte.
L’archivio di stato di Lucca è uno dei più ricchi ed interessanti d’Italia. Ed è proprio sfogliando le carte spesse e talvolta sbiadite dell’archivio lucchese che ci possiamo imbattere nella figura di Nicolo di Chiaro Del Bene. La storia assegna a Francesco di Marco Datini, il mercante pratese del XIV° secolo il merito dell’invenzione della lettera di credito (la cambiale), ma il suo contemporaneo Nicolo di Chiaro, vissuto a Borgo a Mozzano non è stato sicuramente da meno. Come tanti mercanti dell’epoca ha anticipato molte delle caratteristiche dell’economia moderna: è stato un commerciante, un “azionista” di varie imprese del territorio lucchese, un esattore delle tasse, ma soprattutto una figura simile ad un moderno banchiere: prestava infatti denaro a molte persone della media valle del Serchio e, con modalità simili a quelle di una banca, custodiva somme di denaro che gli erano affidate da persone benestanti del territorio in momenti particolari della loro esistenza (soprattutto in occasione di viaggi particolarmente rischiosi). Il padre di Nicolo, il mercante Chiaro Del Bene, come attestano i documenti, era originario di Firenze. Non conosciamo le cause che nei primi decenni del secolo ne provocarono il trasferimento nel territorio lucchese, ma con tutta probabilità questo fu dovuto a motivi politici. La famiglia Del Bene era infatti guelfa di parte bianca e i suoi componenti (compreso Sennuccio Del Bene, amico di Francesco Petrarca) furono esiliati da Firenze all’inizio del XIV° secolo.
Nicolo compare per la prima volta in un documento notarile del marzo 1354, mediante il quale egli ottiene l’emancipazione dal padre Chiaro. L’emancipazione permetteva ad un giovane minore di 21 anni (tale era allora la maggiore età) di entrare anticipatamente in possesso della parte di patrimonio a lui spettante e di farne libero uso. Gli permetteva inoltre di vendere, comprare, costituire società, elargire prestiti. Attività quest’ultima alla quale si dedicherà senza perdere tempo, già dai giorni successivi all’atto di emancipazione.
A proposito dei prestiti è necessario fare subito un’importante precisazione: nel medioevo l’usura era considerato uno dei peggiori peccati che un uomo potesse commettere. La Chiesa, grande organizzatrice del pensiero medievale, condannava l’usura come peccato contro natura, indipendentemente dal tasso d’interesse che sui prestiti veniva applicato. Tale condanna aveva una forte base teologica e filosofica: il denaro, materia inerte, inorganica (metallo) non poteva riprodursi come gli esseri viventi e pertanto non poteva fruttare, né poco né tanto. I mutui che Nicolo elargiva erano quindi semplici prestiti sanciti da un atto del notaio. Se il debitore restituiva la somma nella data pattuita non doveva aggiungere nulla alla cifra iniziale. Ma se il debitore ritardava anche un solo giorno nella restituzione, la cifra raddoppiava immediatamente. E se (come possiamo dedurre) non restituiva tale cifra, il creditore poteva immediatamente agire sui suoi beni: ad esclusione del letto (più spesso un saccone) e del necessario per sedersi a mangiare, nessun bene era escluso dal pignoramento. Nei registri di sequestro per debiti troviamo abiti, legna da ardere, castagne secche, farina di castagne, orzo, miglio, grano, lenzuola, attrezzi da lavoro, vasellame, bestie grosse (maiali, pecore, agnelli), bestie minute (polli, conigli) e animali da lavoro (asini e muli). Ma l’attività di Nicolo non si limita al solo concedere prestiti. Egli infatti commercia soprattutto in ferro, grezzo, lavorato o da riciclare (detto ferraccio). I registri delle gabelle, le tasse che si pagavano su tutte le transazioni di merci nel distretto lucchese documentano un’intensa attività con l’intero stato lucchese (Garfagnana e alta Versilia) con il distretto pistoiese (Cutigliano, San Marcello) e con una non ben specificata Lombardia (per Lombardia all’epoca si intendeva comunque tutto ciò che stava al di là dell’Appennino).
Sempre grazie agli atti notarili, sappiamo che all’inizio della sua attività abitava a Catureglio, località poco distante da Borgo a Mozzano ed era sposato con Riccha, proveniente da Colognora, dalla quale aveva una figlia, Bartolomea. I suoi affari però reclamavano la sua presenza al Borgo, località all’epoca centro di scambi e commerci e sede di un importante mercato settimanale (che come ai nostri giorni si teneva il venerdì) al quale, stando alle parole del contemporaneo Giovanni Sercambi, cronista e novelliere lucchese, affluivano “centonaia di omini”. Per questo motivo il 17 settembre del 1361 prende in affitto da Tobia (detta Tubbia) figlia di Messer Bandino dei conti di Romena e vedova di Francesco Castracani, la metà di un palazzo che si affaccia sulla strada centrale di Borgo a Mozzano. Il costo dell’affitto è di tre fiorini l’anno, ma Nicolo appena cinque mesi dopo acquisterà quella casa, che diverrà la sua abitazione, per l’importante somma di 40 fiorini. In questo lasso di tempo muore la prima moglie Riccha e Nicolo sposa Linora che gli darà tre figlie e un figlio. Sempre in questo periodo, muore il padre di Nicolo e la madre Data si trasferisce anch’essa nella casa patrizia della nuova famiglia.
Tra gli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta del XIV si intensifica l’attività di commercio del ferro e Nicolo entra in affari con Coluccino di Guglielmo Gonnella degli Antelminelli, proprietario di una ferriera in località Fabbriche di Corsagna. Prosegue intanto l’attività di concessione di prestiti che in questi decenni sembra scorrere senza particolari problemi. Cresce inoltre il prestigio personale di Nicolo che viene spesso nominato procuratore di persone agiate dei dintorni e chiamato a decidere in questioni commerciali. Nel giugno del 1373 gli Anziani di Lucca (in pratica il governo lucchese) affidano a Nicolo la riscossione della gabella del vino della Vicaria di Coreglia, comprendente gli attuali territori dei comuni di Borgo a Mozzano e Pescaglia.
Porta a termine importanti affari come l’acquisto di una ferriera in località Fabbriche di Gello, grazie ad un debito contratto dal fabbro Aiardo di Stefano con i fratelli Dino e Giovanni Matugli di Gello, credito che questi ultimi cedono a Nicolo stesso, e la stipula di una società “in arte spetiarum” con Filippo di Coluccino, speziale di Camaiore. L’attività di speziale era una fra le più prestigiose e remunerative dell’epoca e quest’ultimo contratto è particolarmente interessante perché Nicolo vi compare in veste di “socio azionista” più che di gestore. Il suo capitale nella bottega (il cui fondo è di proprietà dello stesso Nicolo che lo cede in locazione a Filippo) è infatti di ben 700 fiorini, mentre il socio investe nell’attività 100 fiorini et operam et personam suam. Praticamente Nicolo è il socio di capitale, mentre Filippo è il gestore dell’attività. La fiorente attività di Nicolo, pare dunque andare a gonfie vele e non incontrare ostacoli di sorta.
Helga Battaglini